venerdì 23 aprile 2010

PdL: Tutto cambia? Si, affinché tutto resti come prima!

E dopo le " carezze" di Fini e le bordate di Berlusconi, il PdL è ancora più forte di prima coi finiani che hanno giurato eterno amore a Berlusconi seppur NON da assoluto Padrone e Signore (adesso potranno scegliere loro il colore della carta da parati da attaccare alle pareti dei saloni dove si terranno i prossimi congressi), mentre la stragrande maggioranza della platea ha votato un documento di sottomissione totale e finale ai Voleri di Sua Maestà Silvio.

Voci di corridoio confermano che in quel documento, sottoscritto dal 999999% dei presenti, era riportata anche una nomina a senatore del cavalo preferito di Berlusconi ma che poi per ovvi motivi di decenza non ne è stata data lettura davanti alle televisioni (comuniste) che stavano riprendendo quell'evento.


(da http://italiadeivalori.antoniodipietro.com/articoli/politica/pdl_siamo_alla_resa_dei_conti.php?notifica )



23 Aprile 2010

PDL: siamo alla resa dei conti




“Non ho mai imposto la mia volontà”. Non lo ha detto Ghandi o Madre Teresa di Calcutta. Tenetevi forte, lo ha detto Silvio Berlusconi questa mattina aprendo i lavori della direzione nazionale del secolo. Temo fortemente che, a questo punto, a Silvio Berlusconi serva uno psichiatra, ma uno bravo, che possa risolvere il suo ormai evidente problema, ovvero, la sistematica negazione della realtà e la creazione di una neorealtà delirante parallela. Chi si mette contro viene messo alla berlina sui suoi giornali. E’ da quando il presidente della Camera ha aperto ufficialmente la crisi nel Pdl che Gianfranco Fini viene deriso e sbertucciato a caratteri cubitali sui quotidiani di famiglia. Addirittura, oggi scopriamo un Silvio in veste di Ercole forzuto e nerboruto che, una volta, per farlo risedere, gli ha messo le mani addosso. Questa è la dimensione di Silvio e, purtroppo, è anche la sua cifra politica. La democrazia interna nel partito è un concetto che non fa parte del suo vocabolario. Chi si mette contro di lui viene colpito dal fuoco di fila della stampa e dei telegiornali di famiglia, bravissimi nel praticare il neo-minzolinismo di ritorno. A chi si mette di traverso arrivano puntuali bastonature mediatiche, roghi e minacce di licenziamento. Il confronto per lui è una metastasi e c’è un unico modo per combatterla: soffocarla, reprimerla, in maniera autoritaria e rozza, mostrando i muscoli se necessario. Questa non è politica, è rappresaglia, vendetta, questa è la politica secondo Silvio.

Tutta questa vicenda un merito ce l’ha. Abbiamo scoperto finalmente chi è il vero fascista tra Fini e Berlusconi, e non è il primo. Abbiamo scoperto che nel Pdl ci sono più cani da riporto che segugi, e c’è chi, fregandosene del ruolo di seconda carica dello Stato, esegue gli ordini del padrone senza emettere un fiato. Non si capisce perché il presidente del Senato, Renato Schifani minacci da più giorni di licenziare Fini, colpevole di fare secondo lui politica attiva, e lui che sta facendo la stessa identica cosa dovrebbe, invece, rimanere in sella al suo incarico tranquillo e beato. Per quanto ci riguarda, ci auguriamo che tutto questo non finisca qui, che la nuova stagione aperta da Gianfranco Fini nel Pdl porti alla fine dell’era berlusconiana quanto prima, nell’interesse del paese e dei cittadini, prima che sia troppo tardi.


Cambiano i nomi ma i metodi sono sempre gli stessi.


Fuori gli insegnanti meridionali dalle squole padane!!!

Così nessuno potrà più dire che qualche figlio di dirigente leghista è gnurant!




(Da la Stampa.it)

Robert Fano, il padre di Internet
in fuga da Mussolini
Una foto della famiglia Fano, realizzata nel 1936, in occasione del 25° anniversario del matrimonio di Gino, il patriarca, quasi alla vigilia delle leggi razziali.


Dovette lasciare Torino e l'Italia nel '38 per le leggi razziali. In America è diventato uno dei pionieri del Personal Computer
GIANNA PONTECORBOLI
NEW YORK
L’anno è, molto probabilmente, il 1964. Ne mancano ancora venti alla nascita dei pc. Le immagini che ci arrivano da un vecchio video sono in bianco e nero: «Quello che vogliamo - spiega in un inglese ancora venato d’accento piemontese un giovane professore - è arrivare a mettere il potere del computer a disposizione degli individui. Vorremmo rendere la sua enorme forza logica e di calcolo accessibile al pubblico, metterlo in condizione di lavorare da una scrivania e soprattutto con un linguaggio accessibile a tutti». Adesso, a quasi cinquant’anni da quella visione che ci appare come una profezia, il protagonista del video, Robert Fano, ha ancora voglia di raccontare la lunga vicenda che lo ha portato a diventare uno dei leggendari padri del mondo di Internet. Fano, a 93 anni, è ancora professore emerito di Computer Science al prestigioso Massachusetts Institute of Technology.

La svolta della sua vita ha luogo nel 1938, quando Mussolini decide che l’insegnamento nelle scuole italiane deve essere depurato da ogni influenza ebraica. Fino a quel momento, il giovane Roberto è stato un ragazzo privilegiato, cresciuto in una famiglia unita, affettuosa e più che benestante. Il padre Gino è un rispettato professore di geometria all’Università di Torino, il fratello Ugo è un fisico brillante che già collabora con Enrico Fermi nel gruppo di Via Panisperna. Roberto è iscritto al quarto anno di ingegneria. Le leggi razziali interrompono bruscamente la sua esistenza dorata. Il padre, a cui Mussolini per tre volte ha rifiutato l’ingresso all’Accademia dei Lincei, è senza lavoro, tuttavia non vorrebbe spingersi lontano dall’Italia. Accetta però di trasferirsi in Svizzera, Ugo invece segue la moglie Lilla in Argentina, in attesa di un visto per gli Stati Uniti. Roberto resta a Torino e si incarica di trasferire all’estero qualche soldo, finché non ottiene anche lui un prezioso visto dal console americano di Zurigo.

Fano, oggi, non ha rimpianti. La sua vicenda è simile a quella degli altri circa duemila ebrei italiani che avevano le risorse e la possibilità di fuggire dalla persecuzione razziale. Tra loro alcuni nomi destinati a diventare famosi, come quelli di Salvador Luria, Emilio Segré e Franco Modigliani (poi premiati con il Nobel) e tanti altri destinati a rimanere sconosciuti. Per tutti loro l’incontro con il nuovo mondo è stato faticoso e qualche volta sorpendente. «In Italia - ricorda Fano - andavo bene all’Università, ma non ero certo uno studente brillante. Qui, ho dovuto costruirmi da solo».

Appena giunto negli Stati Uniti, lo studente torinese pensa soprattutto a finire gli studi e non ha la presunzione di puntare troppo in alto, ma la cognata lo convince a presentare una domanda al Massachusetts Institute of Technology. A sorpresa il prestigioso Mit non soltanto lo accetta, ma gli abbuona gli esami sostenuti in patria. «Ho ricevuto un’educazione italiana e questa mi ha aiutato molto, quando sono arrivato al Mit ho scoperto che molte delle materie che i miei coetanei non avevano ancora seguito, io le avevo già affrontate al liceo e mi hanno dato il credito. E la matematica che avevo imparato a Torino da Guido Fubini, un grande matematico collega di mio padre, era in definitiva migliore di quella che si insegnava qui». Ma in America l’ambiente è apparso subito al giovane torinese più aperto e più accogliente.

«Gli insegnanti mi hanno subito manifestato una certa ammirazione mentre in Italia il rapporto con i docenti era spesso difficile, a chiedere consigli si ricevevano risposte seccate. Qui invece i professori erano, e sono, molto più disponibili e il sistema è più efficiente. Anni fa ho avuto uno studente italiano, Valentino Castellani. Mi faceva molte domande, io ho usato con lui la stessa gentilezza che cerco di avere con tutti. Ne è rimasto talmente impressionato che quando è diventato sindaco di Torino mi ha proposto per la laurea Honoris Causa al Politecnico». Quando l’America entra in guerra e i professori americani cominciano a lasciare vuote la cattedre per rispondere alla chiamata alle armi, il giovane Robert si ritrova ad essere contemporaneamente studente (per il master) e docente alla graduate school, cioè agli studenti del suo stesso livello. A sentirla raccontare adesso, dalla sua voce pacata, la lunga strada compiuta da Robert Fano assomiglia a un percorso facile, quasi comodo. «Dopo la guerra - ricorda -, ho fatto un dottorato di ricerca sulla teoria dell’informazione e sono rimasto come insegnante fino al 1961. In realtà volevo entrare nel settore dei calcolatori. Così, non appena si è presentata l’occasione di avere un grosso laboratorio di ricerca e nessuno che avesse l’età o la voglia di occuparsene, l’ho fatto io».

In realtà, il programma in cui entra e che prende il nome di «Progetto Mac» è enorme e coinvolge sia il Pentagono sia le grandi aziende che per prime si stanno impegnando nel settore. Per la prima volta, si sperimenta il «time-sharing». E Fano si ritrova a fare contemporaneamente lo scienziato e l’amministratore. «Al laboratorio, che adesso si chiama Computer Science and Artificial Intelligence Laboratory, abbiamo fatto il primo passo in direzione di Internet», racconta ora, quasi con l’aria di schermirsi. Quando, alla fine del 1968, Fano abbandona la direzione del progetto, il suo nome non ha più bisogno di presentazioni. Nel corso degli anni, onori e riconoscimenti non gli sono mancati. Oggi è membro delle più importanti accademie della scienza e della tecnica americane. Nel 1976, ha ricevuto il premio Shannon per il suo lavoro sulla teoria dell’informazione. Genova lo ha premiato durante le celebrazioni colombiane, nel 1992.

La sua vita personale è stata simile a quella di tanti altri intellettuali americani di successo, un solido matrimonio con Jacqueline, d’origine francese, tre figli, una casa per le vacanze non lontana quella dei Kennedy a Cape Cod, una barca di cui va fiero. Al visitatore, mostra con orgoglio il bel libro che sua figlia ha fatto stampare per celebrare i suoi «novant’anni ben vissuti». Non ha rinunciato alla sua eredità religiosa e culturale, dice di essere rimasto quello che era pur avendo contribuito alla fondazione del «villaggio globale»: «Quando sono arrivato in questo Paese gli agenti del servizio immigrazione mi hanno chiesto di che razza ero, allora l’ebraismo era considerato una razza, le persone venivano separate, c’erano medici ebrei e medici non ebrei, avvocati ebrei e non ebrei. A quell’agente ho risposto: guardi che io ho lasciato l’Italia proprio per sfuggire a tutto questo... Volevo entrare al più presto nella cultura americana, volevo evitare ad ogni costo la mentalità del ghetto». Nemmeno il sionismo lo ha mai convinto e in Israele non ha mai voluto andare: «Quando mia nipote ha sposato un ragazzo che è cresciuto in Libano, in casa lo hanno salutato come il secondo palestinese di famiglia»...

Nei confronti dell’Italia ha un atteggiamento affettuoso, ma non rinuncia alla critica: «Non mi sono certo dimenticato di essere italiano e mi piace molto tornarci in vacanza. È la burocrazia italiana che mi fa diventare matto: è un Paese dove ogni cosa dipende da chi conosci. In America ho avuto successo, mio fratello pure. Ma credo che ci sarebbe successo anche in Italia perché abbiamo studiato ed eravamo preparati».

giovedì 15 aprile 2010

Fantapolitica o scelta inevitabile?

Ciò che ha caratterizzato la politica in questi ultimi anni, non e' stato il berlusconismo in sé ma tutti i risvolti che questo ha comportato e comporta.
Il berlusconismo, o se preferite chiamarlo deriva populista, è il risultato di una operazione scientifica compiuta da Berlusconi e dalla P2 in anni e anni di lavorio sulle masse e sulle coscienze.
A cominciare dalla demonizzazione della politica e dei politici che in questi anni si sono alternati alla guida di questo o quel partito.
Le uniche figure "positive" che ci vengono presentate sono quelle antipolitiche: le veline, i legali, gli attori, cantanti, buffoni, clowns, che dell'antipolitica ne hanno interpretato i ruoli principali e sintetizzabili in quell'unico messaggio che propagano e profondono a piene mani:

Il fare quadrato intorno al Premier Padrone e l'obbedire.

Quante figure in questi quindici anni sono state esautorate?

Quanti personaggi, apparsi come fugaci meteore, sono scomparsi nel nulla più assoluto lasciando dietro solo un monolitico senso di obbedienza cieca a questa Suprema Volontà che tutto fa e disfa a suo piacimento?

Ogni tanto ricompare qualche faccia suadente, tranquillizzante, ammiccante, con un messaggio chiaro insito al di là delle frasi dette che nessuno ascolta ma che tutti "sentono" in modo chiaro:

Eccomi qui ubbidientissimo e dunque ancora utile a Sua Suprema Volontà.

Obbedisco dunque sono.

UBBIDISCO!!! Quindi resto!!!


Chi esce fuori da questa regola rigida, imposta dalle leggi di mercato del consenso, iniettato a forti dosi attraverso le televisioni, e' un NEMICO!!!
Un nemico da abbattere!!!

Per questo Gianfranco Fini è un nemico!
Per questo i vecchi AN che non si sono pronati a questa logica sono dei NEMICI!!!

Forse persino più pericolosi e più subdoli dei nemici frontali degli altri partiti, dove tra un compromesso, una mezza promessa, un mezzo ricatto, una campagna acquisti ben condotta si può tranquillamente guazzare e scombussolare qualsiasi agglomerato tentasse di, o tendesse a, fare massa critica.

Eppure...
Eppure...

Una logica spietata, imbastita su un semplicissimo programma che vedesse schierata da una sola parte "tutti gli uomini di buona volontà" e che avesse nel "RISPETTO DELLE REGOLE" il suo UNICO e inderogabile punto programmatico, potrebbe far saltare definitivamente il berlusconismo e con esso l'esaltazione dell'immoralità e dell'illegalità profusa...

PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI...

Leggevo su l'Espresso di questa settimana l'indagine condotta sulla ricerca di un futuro antagonista per arginare questa deriva populista e ho osservato attentamente i nomi che sono usciti fuori a cominciare da Luca Cordera di Montezemolo, che avrebbe dalla sua il pregio di poter attrarre consensi di centro (o di centro destra) che giammai voterebbero un candidato di sinistra.

Ma dopo le uscite di oggi, mi chiedo...

Perché non anche un Gianfranco Fini?

Non è forse giunta l'ora di smetterla con le facili etichette di destra o di sinsitra che tanto comodo fanno alla causa berlusconiana?...

Cominciamo a chiamarci invece per nome e cognome:

UOMINI DI BUONA VOLONTA' che crediamo ancora nel rispetto delle regole da una parte...

e Populismo Qualunquista distruttore di ogni regola dall'altra parte.


(da Il Giornale.it)

Fini: "Pronto a fare gruppi autonomi" Berlusconi: "Allora lasci la presidenza"

di Redazione

Dopo il vertice di ieri tra il premier e Bossi oggi l’atteso pranzo tra i due fondatori del Pdl. Secondo fonti di maggioranza Fini avrebbe accusato governo e partito di andare a traino della Lega: "Il Pdl va rafforzato e non indebolito". Poi rilancia: "Ora attendo la decisione del premier". E Berlusconi avrebbe chiesto 48 ore di riflessione


...............
(continua)

venerdì 2 aprile 2010

In una Nazione Civile...

IN QUALSIASI NAZIONE CIVILE...
(e anche incivile)

Se succedessero le cose che succedono in Italia, la gente si sarebbe armata di scope, di ramazze, spranghe, di bastoni e di randelli e sarebbe andata a far piazza pulita di certa feccia maleodorante di fogna che popola i centri chiave di potere e che decide tutto e manipola le nostre coscienze.
In qualsiasi altra nazione civile (e anche incivile) la gente non avrebbe confermato appena pochi giorni fa una maggioranza a un partito che predica una cosa e ne pratica un'altra.
Parla di libertà e ci sopprime quelle più elementari: la liberta' di espressione e la libertà di essere informati.

In un qualsiasi paese civile, e anche INCIVILE, la gente avrebbe avuto una qualche reazione...

In Italia, nazione SUB-CIVILE non succede nulla di tutto questo, e mai succederà.

Siamo troppo ignavi e TROPPO VILI per accennare una qualsiasi reazione...

(Da l'Unità.it)

Minzolini (s)terminator: Busi parla, lui la diffida

di Giuseppe Vittoritutti gli articoli dell'autore

Le epurazioni al Tg1 sono un caso, checché ne dica l’autore delle stesse, Augusto Minzolini, e tutto il centrodestra, proteso nella difesa del suo «direttorissimo». E una grande mobilitazione a difesa della libertà dell'informazione: la chiede il segretario dell'Associazione Stampa romana Paolo Butturini, che spiega in una dichiarazione le ragioni del suo appello: «C`è chi, come Gianfranco Miccichè, minaccia i cronisti (il collega Francesco Viviano de La Repubblica). C`è chi, come Augusto Minzolini, rimuove un caporedattore centrale (Massimo De Strobel) e tre conduttori del Tg1 (Paolo Di Giannantonio, Piero Damosso e Tiziana Ferrario) per «militarizzarè la testata. C`è chi - dice ancora Butturini nella sua nota - licenzia un giornalista in spregio alla legge e agli accordi sindacali, è successo a Il Giorno». C’è, infine, chi «si prepara a fare le cose in grande stile, ovvero il ministro di Grazia e Giustizia Angelino Alfano, che accelera sul Ddl intercettazioni per mettere il definitivo bavaglio alla libertà di informazione». Ci vuole un altro «3 ottobre», chiede il sindacato.

Il caso Ovviamente è quanto accade al tg1 che tiene banco, nonostante i comunicato con la sordina del direttore. «Credo si tratti di una rappresaglia». È così che Maria Luisa Busi, volto di punta del Tg1, commenta in un'intervista di ieri a Repubblica gli avvicendamenti alla conduzione del telegiornale Rai decisi dal direttore Augusto Minzolini. Per la conduttrice «non è casuale» il fatto che dalla conduzione siano stati cancellati i volti di coloro che non hanno firmato la lettera a favore del direttore sul caso Mills. «In 21 anni ho visto altri direttori riconducibili all'area culturale del centrodestra - spiega - ma nessuno aveva mai osato tanto» e gli spettatori «sono sempre meno», conclude la Busi. La lettera contro il Cdr - che si era lamentato di come Minzolini avesse contraffatto con la parola «assolto» nei titoli del telegiornale il caso dell’avvocato inglese Mills - citata dalla Busi è invero imbarazzante. «Al Tg1 non c’è alcun disagio...si determina nell’opinione pubblica il sospetto di una mancanza di trasparenza nell’informazione del Tg1 che mai ha contraddistinto e mai contraddistinguerà l’operato della nostra testata...». Con finale a sorpresa: «Invitiamo il Cdr...a salvaguardare lo spirito di testata che da sempre rappresenta il punto di forza e il nostro valore aggiunto». Questa lettera da socialismo reale è stata firmata praticamente da tutti: non dai 3 epurati (che evidentemente non avevano spirito di testata), e nemmeno dalla Busi. Che - guarda caso - per l’intervista rilasciata si è vista prontamente recapitare Una lettera di contestazione formale. Ad inviargliela il direttore del TG1 Augusto Minzolini. La Busi non avrebbe chiesto l’autorizzazione a parlare, prassi notoriamente “liberale”.

II cdr E contro l’andazzo del Tg1 di schierano anche i comitati di redazione di Tg2, Tg3 e Rainews24, che ritengono inaccettabile la rimozione di tre conduttori. La decisione, dichiarano in una nota, «è stata presa dal Direttore Augusto Minzolini senza adeguate motivazioni professionali e per di più senza offrire ai colleghi rimossi una collocazione adeguata all’importanza e alla centralità del ruolo che svolgevano (come è già avvenuto anche in altre testate). È un metodo che il sindacato rifiuta in maniera netta e contro il quale si opporrà in ogni sede. La rimozione è ancora più grave visto che si tratta - ancora una volta - di colleghi che non avevano firmato il documento sul caso Mills e quindi, come hanno giustamente denunciato l`Usigrai e la Fnsi, assume i connotati di una intollerabile rappresaglia». Di rappresaglia parla anche l’Idv tramite il senatore Francesco Pardi. Mentre La destra, compatta, con le vocianti seconde linee difende Minzolini. Da Pionati a Capezzone, da Lupi a Napoli questo il frasario: indegno tiro al bersaglio, attacchi contro il «direttorissimo» (così lo chiamava Berlusconi nelle intercettazioni telefoniche) sono faziosi, Minzolini esercita un suo diritto...

02 aprile 2010