giovedì 28 agosto 2008

Riprendiamo le pubblicazioni

Dopo un periodo di assenza dovuta a cause di forza maggiore riprendiamo a pubblicare i risultati delle nostre ricerche in modo da mettere un po' d'ordine all'intera materia:

Anno Domine 1724

6 Aprile 1724


Palermo: Atto Generale di Fede del 6 Aprile 1724.
Don Antonino Mongitore - Canonico della Cattedrale Metropolitana Chiesa di Palermo.
Consultore e Qualificatore del Santo Uffizio.



Su LiberLiber si puo' trovare l'opera completa del Mongitore; noi stralciamo solo alcuni passi che riteniamo utili e notevoli per il nostro scopo. In caso di scomparsa del testo per qualsiasi motivo scrivere a giordanobruno@eretici.org per ottenerne gratuitamente una copia completa su file.



CAPITOLO DECIMOTERZO.
Compendioso Ragguaglio de' Rei riconciliati, loro delitti, e pene.

PENITENZIATA SENZA ABIURAZIONE.

1.Suor Pietra Maria di Gesù Pinzochera de' Riformati di S. Francesco, nel secolo chiamata Giovanna Selvaggio, nativa della Terra di Chiaramonte, della Diocesi di Siracusa, di anni 31. Per testimonianza falsa, e maliziosamente varia in materia grave di Fede: avendo falsamente accusato di sollecitazione(1) un Confessore, fu condennata a stare racchiusa per due anni nelle carceri del S. Tribunale; e dapoi a tre anni di esilio da Chiaramonte, Palermo e Corte di Sua Cesarea Cattolica Maestà.

PENITENTI, CHE ABIURARONO DE LEVI(2).

2.Antonino Casale Nativo di Mascali, e abitatore della Città di Jaci Reale, Diocesi di Catania, di anni 36. Bordonaro, Bestemmiatore ereticale, abjurò de levi. Uscì nel pubblico spettacolo con mordacchia in bocca: fu condennato alla pubblica vergogna per la Città di Palermo, senza sferzate: ed esiliato per un anno da Mascali, Ciarri, Palermo, e Corte di Sua Maestà Cattolica Cesarea.

3.Antonino Gorgone, altrimente Galluzzo, nativo della Terra di Bronte, Diocesi di Monreale, di anni 52, uomo di campagna, Bestemmiatore ereticale, abjurò de levi e fu assoluto ad cautelam. Uscì egli nel pubblico spettacolo con mordacchia in bocca. Fu condennato alla vergogna per le pubbliche strade della Città senza sferzate, e all'esilio per tre anni da Bronte, Palermo, e Corte di Sua Maestà Cattolica Cesarea.

4.Anello di Martino nativo della Città di Napoli, ed abitator di Palermo, di anni 44, Calzolajo, Bestemmiatore ereticale, e reo di sacrilega frattura di sacre Immagini, abjurò de levi. Fu assoluto ad cautelam, e condennato a girar con vergogna per le pubbliche strade della Città, senza sferzate; e poi al remo per tre anni(3) sulle regie Galee senza soldo, e in fine esiliato per tre anni da Palermo, e Corte di Sua Cattolica Cesarea Maestà.

5.D. Giovanni Pilo Chierico insignito de' quattro Ordini Minori, di anni 22, nativo della Città di Caltagirone, Diocesi di Siracusa, per essere stato Sortilego, e bestemmiatore ereticale, abjurò de levi: fu assoluto ad cautelam, e condennato a stare racchiuso per tre anni in un Convento, da scegliersi ad arbitrio del S. Tribunale, e poi all'esilio per due anni da Caltagirone, Palermo, e Corte di Sua Cattolica Cesarea Maestà.

6.Giuseppe Guzzanca, nativo della Terra della Giojosa, Diocesi di Patti, abitator di Palermo, di anni 26, Cuoco. Per essere stato Poligamo, abjurò de levi. Fu condennato a girar con vergogna per le pubbliche strade della Città di Palermo senza sferzate; e all'esilio per tre anni dalla Giojosa, Piraino, Palermo, e Corte di Sua Cattolica Cesarea Maestà, 20 miglia lontano da detti luoghi.

7.Ignazio Guelli, nativo della Licata, Diocesi di Girgenti, e abitatore di Palermo, di anni 22, Paggio, anch'egli Poligamo, abjurò de levi. Fu condennato ad uscir alla vergogna per le strade pubbliche della Città senza sferzate, e al remo sopra le Galee per tre anni.

8.Agatino Fauciglia, nativo della Città di Nicosia, Diocesi di Catania, ed abitatore di Palermo, di anni 24, Rappezzatore di scarpe. Pur egli per essere stato Poligamo, abjurò de levi. Ebbe la pena di uscire alla vergogna per le pubbliche strade con isferzate, e di remar sopra le Galee per tre anni.

9.Antonino Gervasi, nativo della Terra di Vittoria, Diocesi di Siracusa, ed abitatore della Città di Trapani, uomo di Campagna, di anni 45, perchè Poligamo, abjurò de levi. Fu sottoposto alla pena di uscir alla vergogna per le pubbliche strade di Palermo con isferzate: e per tre anni al remo sulle Galee.

10.Alessandro Ingargiola, nato nella Terra di Carini, Diocesi di Mazzara, di anni 47, uomo di Campagna, dichiarato Poligamo, abjurò de levi, e fu condennato alla vergogna per le pubbliche strade, e al remo sulle Galee per tre anni.

11.Giuseppe Perricone, nativo della Terra di Leonforte, Diocesi di Catania, e abitatore della Sala di Partitico, Beccajo, di anni 48, convinto di Poligamia, abjurò de levi. Fu condennato alla pena della pubblica frusta, e al remo per cinque anni sulle Galee.

12.D. Giulio Maurici, nato nella Terra di Palma, Diocesi di Girgenti, abitatore di Palermo, di anni 35. Fu egli Poligamo Similitudinario, per lo delitto di aver contratto matrimonio essendo insignito dell'ordine sacro del Diaconato, abjurò de levi, e fu condennato per anni cinque a stare racchiuso nelle carceri della Penitenza, o in altro luogo ad arbitrio del Santo Tribunale: e dapoi, all'esilio di anni due da Palermo, Palma, e Corte di Sua Maestà Cattolica Cesarea.

13.Vincenzo Jaci, altrimente detto Piedi di Castro, nativo di Daidone, Diocesi di Catania, e abitatore della Città di Piazza, di anni 48, per essere stato Sortilego ereticale, abjurò de levi. Fu condennato all'esilio per tre anni da Piazza, Palermo e Corte di Sua Maestà Cattolica Cesarea.

14.Anna Curcia, altrimente Sarna, nativa della Città di Palermo, di anni 39, come Sortilega abjurò de levi, e fu condennata a vivere racchiusa nelle Carceri del Tribunale per un anno. 15.Giovanna Crescenti, nata nella Città di Marsala, Diocesi di Mazzara, abitatrice di Castelvetrano, di anni 25, anch'ella Sortilega, abjurò de levi, e fu condennata a stare racchiusa per un anno nelle Carceri del Tribunale.

16.Catarina Castiglione, nativa della Terra Reffaudale, Diocesi di Girgenti, d'anni 38, per essere stata Sortilega, e Fattucchiera, abjurò de levi, e fu sottoposta alla pena dell'esilio per un anno dalle Terre di Reffaudale, e Joppolo, e dalla città di Palermo, come pure dalla Corte della Cattolica Cesarea Maestà.

17.Catarina la Fenestra, nata nella Città di Marsala, Diocesi di Mazzara, e abitatrice di Palermo, di anni 35, anch'ella Sortilega, e Fattucchiera, abjurò de levi. Fu condennata alla pubblica frusta, e a restar carcerata per cinque anni nelle Carceri del S. Uffizio.

18.Fra Giuseppe Minneci, Romito, chiamato nel Secolo Pietro Minneci, nativo della Terra di Petralia, Diocesi di Messina, di anni 35, per Sortilegj, e proposizioni ereticali; come ancora per conservare polize superstiziose, abjurò de levi. Ebbe la pena di servire in uno Spedale, o altro luogo ad arbitrio del Tribunale, per tre anni.

19.Fra Lorenzo di S. Pietro di Patti, Diocesi della Città di Patti, Laico degli Osservanti di S. Francesco, nel Secolo chiamato Girolamo Calcerano, di anni 35, per comunicazione familiare col Demonio, Sortilegj qualificati, e per valersi di scongiuri superstiziosi, abjurò de levi. Fu assoluto ad cautelam, e condennato a stare racchiuso in un Convento del suo Ordine per cinque anni ad arbitrio del Tribunale: con che il Superiore del Convento dovesse designare un soggetto de' più qualificati per doverlo coltivare nella vita Spirituale: e il suddetto Superiore fosse obbligato per ogni sei mesi dar conto al Tribunale de' suoi costumi, e miglioramento di essi.

20.Vincenzia Cinquemani, nativa della Terra di Canicattì, Diocesi di Girgenti, di anno 60, come Sortilega, e Fattucchiera abjurò de levi. Fu gastigata colla pubblica vergogna per le strade di Palermo senza sferzate in riguardo alla sua età, e colla carcerazione per cinque anni nelle Carceri del S. Uffizio.

21.Anna Lauretta, altrimente chiamata la Indovina, nativa della Città di Modica, Diocesi di Siracusa, di anni 36, per essere stata Sortilega ereticale, e Fattucchiera, abjurò de levi. Fu condennata ad uscir per le pubbliche strade con isferzate, e a restar racchiusa per cinque anni nelle Carceri del Tribunale.

22.Maria Tamburello, nativa della Città di Marsala, Diocesi di Mazzara, di anni 35, per Sortilegj qualificati con effetti seguiti, e perchè Fattucchiera, abjurò de levi. Ebbe la pena della pubblica vergogna per le strade con isferzate, e poi a restar racchiusa nelle Carceri del Tribunale per cinque anni.

23.Agatuzza Romeo, nativa della Terra della Pagliara, Diocesi di Messina, di anni 50, convinta per Sortilega ereticale, e per Fattucchiera, abjurò de levi. Fu assoluta ad cautelam,condennata alla pubblica frusta, e dapoi a starsi racchiusa nelle Carceri del Tribunale per cinque anni.

24.Rosa la Barbera, nativa della Terra di Partinico, Diocesi di Mazzara, e abitatrice di Leonforte, di anni 33, Sortilega ereticale, e Fattucchiera, abjurò de levi. Fu assoluta ad cautelam, e fu condennata alla frusta per le pubbliche strade con ducento sferzate; e poi ad esser racchiusa nelle Carceri del Tribunale per sette anni, due de' quali si riserbarono ad arbitrio dello stesso Tribunale.

25.Paolo Vavaro, nativo della Sala di Paruta, Diocesi di Mazzara, di anni 66, per Sortilegi, e Superstizioni, fu penitenziato, ed abjurò de levi nell'Atto particolare di Fede celebrato addì 11 Settembre del 1721, ma perchè ricadde negli stessi delitti, e per aver celebrato Messa, senza essere Sacerdote, di nuovo abjurò de levi, e fu condennato alla pubblica vergogna per le strade della Città, colla giunta di sferzate, e a perpetua carcere nelle Carceri del Sant'Uffizio, o in altra parte ad arbitrio del Tribunale.

26.D. Giuseppe San Marco, altrimente nominato Donato, nativo della Terra di Militello Valdemone, Diocesi di Messina, di anni 33, per aver celebrato molte volte Messa, e messosi ad udir le altrui confessioni senza essere sacerdote: e inoltre per aver più volte fuggito dalle Carceri del Tribunale, abjurò de levi, e fu condennato al remo sulle Galee per anni dieci.

RILASCIATI IN PERSONA AL BRACCIO SECOLARE.

27.Suor Geltruda Maria Cordovana, Terziaria dell'Ordine di S. Benedetto, nel Secolo chiamata Filippa Cordovana, nativa di Caltanissetta, Diocesi di Girgenti, di età di anni 57, Eretica formale, Molinista, e Quietista, perchè ostinata nelle sue enormità, ed errori, fu rilasciata al Braccio Secolare, e condennata al fuoco.

28.Fra Romualdo di S. Agostino, Laico dell'Ordine degli Agostiniani Scalzi, nel Secolo chiamato Ignazio Barberi, nativo pur di Caltanissetta, Diocesi di Girgenti, di età di anni 58, Eretico formale, Molinista, Relasso, e Settario di molte eresie; perchè impenitente, e pertinace ne' suoi errori, fu anch'egli rilasciato al Braccio Secolare, e condennato alla meritata pena del fuoco.

Ma di questi due ultimi ci conviene dare più distinto ragguaglio nel seguente Capitolo; per conoscere al vivo la pietà del S. Tribunale, e la rettitudine della sua severa giustizia; e insieme in qual baratro può precipitarsi l'umana malizia: motivo ben efficace per adorare, e conoscere insieme quanto sian formidabili i divini giudizj.

CAPITOLO DECIMOQUARTO.
Ristretto de' delitti de' due Rei pertinaci, e diligenze praticate dal S. Tribunale per convertirli.

Le gravissime enormità, nelle quali cadde Suor Geltruda Maria Cordovana, diedero l'impulso a varie persone di portarne le dovute denunzie al S. Uffizio: onde a 27 Giugno del 1699, fu carcerata dal S. Tribunale, sottoposte a sottilissima esamina le accuse, fu ritrovata Superba, Scandalosa, Ippocrita, Temeraria, e Vanagloriosa: e macchiata di molti delitti contro la Santa Fede, fu conosciuta ingannata, Molinista e Quietista(4).
Si vanagloriava che il suo spirito si fosse avanzato ad un altissimo grado di perfezione, e a cinque Unioni con Dio, da lei chiamate, la prima Unione di Matrimonio: la seconda di Cognizione della SS. Trinità: la terza di Matrimonio col Corpo di Cristo: la quarta di Matrimonio colla Croce di Cristo: e la quinta col Crocifisso Glorioso in Cielo. Indi dicea, essere stata sublimata ad altra Unione di Trasformazione, immaginando inalzata l'anima sua con più perfetta cognizione, e grazia ad un grado senza comparazione maggiore, a tal segno, che se prima in tutto e per tutto operava in modo passivo, con questa nuova trasformazione non l'era restata cosa alcuna di tal operazione: onde se parlava, camminava, guardava, e facea qualsivoglia altro esercizio, vedea non esser più ella, ma che Iddio in Lei operava. Quindi mentre camminava le pareva andare agilissima.
In una conferenza fatta con altra Pinzochera, disse, che amendue eran perfette, con questo divario, che v'ha fra due vasi d'acqua, un de' quali sia sol pieno per sè, e tale essere la Terziaria, cui ragionava; e l'altro talmente soprapieno, che versi l'acqua al di fuori, come era essa, che diffondea ad altrui benefizio.
Si vantava avere ottenuta grazia, che quante volte ella guardava, chi da lei fosse guardato, con gli occhi suoi, come da due saette restasse ferito; e vaticinava, doversi dare a vita spirituale, quando a Dio piacesse: e che nel rimirare uno, egli sentì schiantarsi il cuore dal petto, risoluto di consagrarsi a Dio.
Disse talvolta, trovarsi nella notte oscura de' sensi. Altra volta, che era già nello stato de' godimenti e sponsalizio spirituale; che era arrivata all'Orazione di pura Fede, e indifferenza.
Ad una Terziaria, cui era stato vietato dal Confessore il comunicarsi, spacciandosi per Maestra di Spirito, più che ogni Direttore illuminata, le comandò, che si comunicasse, con dirle: Va, comunicati: che sà il tuo Confessore?
Per alcun tempo si comunicò con due particole, stimandosi dotata di più perfezione, e degli altri più meritevole. Più volte proruppe in manifesto disprezzo de' Confessori, delle Prediche, degli Esercizi spirituali, e del SS. Rosario di Maria Vergine: ed ebbe a sdegno il sentir nominare Gesù Bambino.
Permise esserle tagliati alcuni de' suoi capelli, che cusciti in una borsetta con reliquie di Santi, diede al Confessore per portarli in dosso, affine, che fossero antidoto contro le tentazioni: e in virtù di essi restasse libero da' stimoli impuri del senso.
Diceva l'indegna, che la SS. Vergine le avea rivelato, che gli atti impuri praticati col Confessore, non solo non erano illeciti, nè peccaminosi, ma che accrescevan la purità. Non tollera la modestia, che si spieghino dalla penna le molte laidezze, ed enormità contro il decoro dell'onestà, secondo le pestilenti massime dell'empio Michele Molinos, anche sagrilegamente praticate ne' luoghi più santi: stimando l'ingannata, essere di mirabile accrescimento alla purità(5).
Si vantava in fine scioccamente, che fosse arrivata a stato d'impeccabilità, nello stesso tempo, che non avea orrore di aggravar la coscienza con nuove, e più enormi colpe, e sagrilegi.
Di questi, ed altri delitti accusata, stando avanti i Signori Inquisitori, niegò prima il tutto, spacciandosi innocente. In altre udienze poi, una e due volte confessò vere le sue enormità, alcune delle quali inorpellò con varie scuse, e sol niegò alcune circostanze. Ma in altra udienza appresso, niegò quanto aveva confessato,(6) e andò in furia, fingendosi pazza. Ricorrendo il Santo Tribunale agli atti della Cristiana carità, replicò più e più volte amorevoli ammonizioni, e applicò l'opera di diversi Religiosi, e Teologi, di singolar dottrina, e spirito, affine di cavarla dal profondo della sua ostinazione, e ridurla a penitenza. Sudaron essi molto tempo, ma senza profitto, aggiungendo ella a' narrati errori varie altre sciocchezze; poichè dicea sé esser più pura della SS. Vergine: unita perfettamente a Gesù Cristo: che sentivasi nel cuore l'assistenza della SS. Trinità: che era impeccabile, e perciò non potea confessarsi: che gl'Inquisitori eran Ministri del Demonio, e che la perseguitavano innocente.
Conchiuso il suo processo, il S. Tribunale col consiglio de' suoi Consultori venne alla diffinitiva sentenza a' 6 Febbraio del 1703, e con tutta pietà, e piacevolezza obbligò la Rea a comparire in forma di penitente nella Camera del Sant'Uffizio alla presenza de' Signori Inquisitori, e Ministri del Secreto, ma a porte chiuse(7). Stabilì con somma benignità, che in questa forma si leggesse il suo processo: abjurasse ella i suoi errori, e gravemente ripresa, e ammonita, fosse assoluta ad cautelam; e consegnata poi a persona dotta, e prudente, da lui fosse istruita, e guidata nella vita cristiana; lasciando al suo arbitrio le penitenze salutevoli, che dovesse imporle. Ma la Rea, ritrovandosi alla presenza degli Inquisitori, montò in tanta furia, che bisognò ritenerla ben forte, e metterle una mordacchia, per non parlare a sproposito: e nientedimeno, dibattendosi con disperato furore, bisognò interrompersi quell'atto, e restituirsi alla carcere.
Ad un Religioso, applicato dal Tribunale per esortarla a ravvedersi, promise voler fare l'abjurazione de' suoi errori, ed abbracciar la penitenza, che le si offeriva: ma nell'atto di volerla eseguire, ritornò a' suoi propositi, e alle sue furie; manifestandosi tanto più impenitente, e temeraria, quanto più soprabbondava la pietà del Tribunale in tollerarla in profitto dell'anima sua.
Altri Religiosi di approvato spirito per lungo tempo sudarono, per ordine del S. Tribunale, per farla ravvedere, e conseguirne il pentimento. Le si posero avanti agli occhi il pericolo dell'anima: se le minacciò il rigor delle Leggi, che disponevano abbandonarsi, come impenitente, e incorreggibile, al Braccio Secolare, per ricevere il meritato gastigo: ma Ella o ammutoliva, o si allontanava, per non udire esortazioni, e ragioni: non volea recitare orazione alcuna, che se le dicesse, anzi nè meno udirla: nè volea mostrar segno alcuno di cristiana.
Ancorchè si praticassero in appresso dal S. Tribunale altri atti di sopraffina carità, per acquistare una volta il suo pentimento e le fossero concedute molte udienze: tutto per lei fu inutile. Altro alle paterne ammonizioni non rispondea, che volea andarsene libera a casa sua, poichè niente vi era di vero nel suo processo: e inviperita con atti superbi, e irriverenti, facea violenza per partire; manifestando sempre diabolica ostinazione.
Mostrando furie da pazza, volle accertarsi il Tribunale se fosse di sana mente, onde applicò varj Medici per osservare lo stato di sua salute: e da essi messa a diligente esamina per molto tempo, attestarono più volte con giuramento, essere in istato di piena salute.
Dopo una lunga tolleranza a' 23 Settembre del 1705 si venne alla diffinitiva sentenza, che essendo eretica formale, impenitente e incorreggibile, dovesse rilasciarsi al Braccio della Corte Secolare. Fu approvata la sentenza dal supremo Consiglio della S. Inquisizione di Spagna a' 26 Novembre 1705. Nulladimeno con singolar pazienza tollerata parecchi anni, adoperò il Tribunale altri nuovi, ed efficacissimi mezzi per invitarla a penitenza; ma senza frutto.
Finalmente mandato puntuale ragguaglio della sua causa, processi, e sentenza all'Ill. e Rev. Monsig. Vescovo de Alvarrazin, Inquisitore Generale di Spagna, residente nella Cesarea Corte di Vienna, con dispaccio de' 29 Ottobre 1720, fu da lui approvata la sentenza, e comandò, che si eseguisse, colla celebrazione d'un Atto Generale di Fede, che è quello, che si fece, e in questa relazione si descrive.
Non furono meno enormi gli errori di Fr. Romualdo di S. Agostino, siccome non fu inferiore e la sua pertinacia, e la pietà seco esercitata dal Santo Tribunale. Egli nell'anno 1699 preso, e racchiuso nelle Carceri Secrete del Sant'Uffizio, fu riconosciuto e convinto per Quietista, Molinista, Reo di molti delitti, ed Eretico formale. Nulladimeno mostrando pentimento, apparve coll'abitino giallo nel pubblico spettacolo celebrato a' 4 di Giugno, del 1703 nella Chiesa di S. Domenico di Palermo, ed abjurò de vehementi. Giurò allora di ubbidire a quanto avea detto nell'abjurazione, e di eseguire la pena impostagli, che fu, di stare racchiuso per tre anni in un Convento della sua Religione: che occupasse l'ultimo luogo fra' Laici in tutte le funzioni: e nel detto tempo fosse dato in cura ad un Padre spirituale dotto, e prudente; rimettendo il S. Tribunale al suo arbitrio l'imporgli le penitenze salutari, che stimasse profittevoli all'anima sua.
Dopo questa abjurazione, fu mandato in apparenza di pentito al suo Convento di S. Niccolò Tolentino, ove da' Sig. Inquisitori gli fu assegnato Confessore particolare, che volendolo più volte disporre alla Confessione, non potè mai ottenerne il piegarsi a farla; vomitando infinite, ed enormi sciocchezze. Dicea, che quanto avea confessato nel Sant'Uffizio l'avea detto, perchè così gli avean fatto dire: ma che Egli non era macchiato da colpa alcuna, ed era più puro dell'Immaculata Concezione: che non avea avuto volontà di giurare nell'abjurazione: che era stato condannato innocente, e che volea ricorrere al Papa. Fu ammonito più volte dal Confessore, a raffrenar la lingua, e a riconoscere i suoi errori; ma senza giovamento: onde portata la notizia della sua ricaduta al Tribunale, egli coll'esercizio della sua costumata carità, mandollo nel Convento di S. Gregorio, luogo di Noviziato del suo Ordine, ove gli furono assegnati Religiosi, dotati non men di dottrina, che di spirito, per ridurlo a penitenza; ma senza frutto. Quindi fu trasferito nel Convento di S. Domenico de' Padri Predicatori, e nell'altro de' Carmelitani Scalzi, ove esortato con tutta efficacia da' Religiosi d'amendue questi Conventi, si mostrò sempre ostinato: e in tutto questo tempo aggiunse alle passate, nuove eresie, e delitti. Sicchè conosciuto incorreggibile, nel 1706 fu ritornato alle carceri del Sant'Uffizio. Anderebbe in lungo questo ragguaglio, se si avesse a far catalogo di tutti i suoi errori: i principali pubblicati nel suo processo, ed uditi con orrore, furono i seguenti.
Dicea avergli Dio rivelato, che gli erano stati perdonati i suoi peccati, e che non dovea più confessarsi: che sentivasi serena la coscienza: ed essere impeccabile per grazia, anche venialmente. Che il Demonio tal volta lo tentava di confessarsi, ma che egli non acconsentiva, perchè Dio non voleva, che si confessasse.
Asseriva, che se il Sacerdote, o altro battezzava in istato di peccato mortale, l'Infante non ricevea il Santo Battesimo: nè lo ricevea un Adulto, se trovavasi in peccato grave. Che il Confessore essendo in peccato mortale, non avea potestà d'assolvere. Che se l'Uomo, e la Donna si legavano in Matrimonio in peccato mortale, non erano veri sposi.
Niegava con gli Ebrei il Mistero dell'Incarnazione; onde nell'Ave Maria non volea in conto alcuno dire le parole Dominus tecum: nè S. Maria Mater Dei. Nel simbolo della Fede non voleva dire Jesum Christum Filium ejus: nè Crucifixus, mortuus et sepultus. Non potè mai esser persuaso a dire la Salve Regina: anzi avea in odio il Nome Santissimo di Maria Vergine. Dicea esser dieci i Comandamenti di Dio: e stimolato a dire quali fossero, aggiungea.
Primo:amare Dio: Secondo: Io son Profeta; e non passava avanti. Si vanagloriava scioccamente esser Profeta di Dio, Angelo, ed Arcangelo Michele: che era favorito da Dio con ratti, ed estasi, e che il Signore gli avea comunicato due belle dottrine, la prima di difender la menzogna: l'altra di verificar tutto, rispondendo ad ogni interrogazione: è della maniera, che è.
Con molte imprecazioni dileggiava lo stato di alcuni Ordini Regolari, e molti Religiosi: dicea non essere obbligato ad ubbidire a' suoi Superiori, perchè l'anima e il corpo eran di Dio. Avendo bastonato un Religioso suo Fratello, e dettogli, che era incorso nella scomunica, rispose, averglielo comandato Dio.
Affermava, che la Chiesa poteva errare in materia di Fede. Dicea avergli Dio rivelato, che sola Fides sufficit per salvarsi; esclamando quante volte volea alcuno disingannarlo: Fede Fede vi vuole, e non altro. Niegava il Demonio potersi trasfigurare in Angelo di Luce, e di Dio, e in apparenza di Maria Vergine.
Avea in odio il S. Tribunale, dicendo che il Santo Uffizio era un'inganno del Diavolo; e in particolare quel di Sicilia: e che non dovea chiamarsi Santo, secondo gli avea detto Iddio. Che F. Diego la Mattina, bruciato vivo in Palermo nel 1658 come eretico, era santo Martire: e lodava il Molinos, ed altri Eretici condennati dalla Santa Chiesa.
Si vantava esser più puro della SS. Vergine, quando che stavasi immerso con estrema dissolutezza in abominevoli enormità, e laidezze; essendo stato sporchissimo in materia di disonestà, e senza vestigio di rossore. Ma la modestia ci obbliga a tacere il particolare delle sue sozzure.
Le tante sciocche proposizioni, che profferiva parean vomitate dalla bocca d'un forsennato, onde si dubitò ragionevolmente, se egli fosse scemo di cervello. Quindi volendo camminare il S. Tribunale con vigilante prudenza, e sicurezza, applicò i Medici più periti della Città per esaminar lo stato di sua salute.
Fu da essi più volte con tutta esattezza osservato, per dare un maturo giudizio della sua sanità, e più volte fecero relazione, confirmata con giuramento, che fosse in ottima salute; e che fingesse pazzia per occultare la sua ostinazione, e la sciocchezza de' suoi ereticali errori.
Non lasciò la pietà del Tribunale in tutto il lungo corso degli anni, che stette rinchiuso nelle carceri del Sant'Uffizio, di applicare i mezzi più proprj per guadagnare la conversione del Reo; poichè destinò diversi Teologi, dotati di singolar virtù e dottrina, per disingannarlo, e con ferventi esortazioni ridurre il sedotto Romualdo alla vera Fede: ma non fu possibile di riportare da' lor sudori il frutto desiderato. Cadde sempre su dura pietra il seme de' loro discorsi; potendosi ben credere essere un di quelli accennati da Zaccaria(8) che noluerunt attendere, et averterunt scapulam recedentem, et aures suas aggravaverunt ne audirent, et cor suum posuerunt ut adamantem, ne audirent legem et verba, quae misit Dominus. Stimandosi disperato il ravvedimento, il S. Tribunale colla consulta de' suoi Consultori, e Qualificatori, venne alla diffinitiva sentenza a 3 Settembre del 1709 che essendo Eretico formale, Relasso, Impenitente, e ostinatissimo, dovea rimettersi al Braccio Secolare della Corte Capitaniale.
Fu mandata copia del suo Processo, e sentenza al Supremo Conseglio della S. Inquisizione di Spagna, che rispose a 11 Aprile, e 9 Maggio 1712, ordinando con abbondante ed eccessiva pietà, di farsi nuove diligenze spirituali, e giuridiche per ridurre il Reo a penitenza; e si fecero soprabbondantemente negli anni appresso, secondo gli avvisi di quel Tribunale: onde s'adoperarono tutti i possibili mezzi così spirituali, come temporali. Altri Religiosi accesi di santo zelo s'affaticarono per la sua conversione: ma si discoprì sempre più enorme la sua durezza.
Finalmente trasmessa distinta relazione de' suoi processi e sentenza all'Ill. e Rev. Inquisitor Generale il soprallodato Monsig. Vescovo de Alvarrazin residente in Vienna nella Corte dell'Augustissimo Monarca, egli a' 29 Ottobre del 1720 confermò la sentenza tanti anni prima fulminata, e ne comandò l'esecuzione, colla celebrazione d'un Atto Generale di Fede. Non lasciò nulladimeno la pietà singolare del S. Tribunale di proseguir nuove diligenze, per ottener la quanto disperata, altrettanto bramata salute di quest'anima. Nuovi Teologi dotati d'esemplare perfezione e profonda dottrina, si studiarono di rimetterlo in buon senno, e fecero l'ultime prove della loro carità: ma egli si mostrò vie più pertinace, ed impenitente: anzi con accrescimento di nuovi errori, vomitava nuove eresie, facendosi conoscere seguace di altri Eretici condannati dalla Santa Chiesa Cattolica Romana. Or ammutoliva alle ragioni, e preghiere, e dava in rabbiosi contorcimenti. Or l'infelice sedotto si spacciava per Angelo: or per un Dio. Profondato ne' precipizj di più abominevoli errori dicea che Dio avea già levato il Giudizio, Inferno, e Purgatorio. Che vi eran più di cento Dei, e che Egli procedebat ex ore Altissimi. Che si davan più Madri di Dio, che aveano avuto più figli, con altre simili stravaganze: tanto che fece altra volta dubitare, se la sua mente si trovasse lesa da qualche sorta di pazzia. Applicati per tanto dal S. Tribunale altra volta i Medici più accreditati all'esamina di sua salute, dopo mature, e diligenti osservazioni, attestaron con giuramento trovarsi in perfetto stato di salute; e che non fosse già pazzo, ma simulasse pazzia, per sostener la sua diabolica pertinacia. Quindi non restando al S. Tribunale di adoperare altre diligenze, sì in riguardo alla giustizia, sì anche a riflesso di pietà cristiana, venne all'esecuzione della sentenza, colla celebrazione dell'Atto pubblico di Fede.
Fu ella in vero di sommo spavento la perdizione di costui, e la diabolica durezza: e fu considerato da tutti, a qual precipizio, e irreparabil rovina può arrivare l'umana malizia. Avrebbe Egli dovuto apprendere massime di altissima perfezione, e di santa vita in quel rigoroso, ed esemplare istituto, che professava: e dalle virtù di tanti Religiosi che in esso han sempre fiorito ornati di consumata perfezione. Nulladimeno declinando da quei principj, che succiò da esso ne' primi anni della sua vita religiosa, diede in tali eccessi di enormità, che parvero opere più tosto, e sentimenti di pazzo, che di persona ragionevole: ma eran frutto d'un'ostinata malizia, che lo rese incapace d'ogni sentimento di pietà Cristiana. Lo stesso dee argomentarsi dell'altra Rea Suor Geltruda, i cui principj si raccontano dirizzati ad alta perfezione. Ma non debbon le cadute, ed enormità di costoro recarsi a colpa degli Ordini Religiosi, e santi, che professarono, come l'ignoranza di taluno potrebbe opponere. Il difetto d'un solo membro putrido non dee rifondersi a tutto intiero il corpo: nè per un frutto guasto dee condannarsi tutto l'albero. Così la colpa d'un Religioso, non dee ascriversi a tutto l'Ordine regolare, che professarono, come dottamente scrisse l'Angelico S. Tommaso(9): Non propter hoc infamandum est Religiosorum Collegium, si aliqui ex eorum numero gravia etiam peccata, committunt: alias simili modo et Apostolorum Collegium vituperabile fuit propter hoc quod dicitur: nonne duodecim vos elegi, et unus ex vobis diabolus est?

(Xamap)

Vito La Mantia, nel suo "Origini e vicende dell'Inquisizione in Sicilia" riporta in modo stringato i due rilasciati al braccio secolare nel modo seguente:

454a. Caltanissetta. Suor Geltrude Maria Cordovana, terziaria dell'Ordine di S. Benedetto, nel secolo chiamata Filippa Cordovana, naturale di Caltanissetta, diocesi di Girgenti, di eta' di anni 57, eretica formale, molinista e quietista impenitente ed ostinata, si rilasso' al braccio secolare. Fu bruciata viva in Palermo nel piano di S. Erasmo a 6 aprile 1724.

455. Caltanissetta. Fra Romualdo di S. Agostino, laico, dell'ordine di S. Agostino, discalzo, nel secolo chiamato Ignazio Barberi naturale di Caltanissetta, diocesi di Girgenti, di eta' di anni 58, eretico formale, molinista e quietista, relasso, e settario di molt'altre eresie, impenitente, e ostinato si rilasso' al braccio secolare. Fu bruciato vivo in Palermo nel piano di S. Erasmo a 6 aprile 1724.

Nella parte relativa alla descrizione del periodo del Regno di Carlo VI: 1720-1734, cita l'atto pubblico di fede del Mongitore e ne trascive quasi integralmente parecchi brani fra i quali il seguente:

"Più volte a voce gagliarda l'ingannato Reo disse a se stesso: F. Ramualdo sta forte. O che egli animasse se stesso a non vacillare, stretto alla gagliarda da' Padri assistenti: o che il Demonio per la sua bocca l'esortasse a perseverar pertinace nella sua perfidia. Non men ostinata Suor Geltruda, vedendosi stretta in maniera, che non avea che poter dire, rispondea convinta, ma senza rendersi. Io son donna, Voi siete Teologi: non posso mettermi a contender con Voi."
(Xvlmo)

130 anni dopo, nel 1854, nascera' in un piccolo comune della Val di Noto, Diocesi di Siracusa, un Ignazio Barberi, forse lontano parente di Fra Romualdo, che sara' un famoso Medico Chirurgo nonche' un Senatore del Regno D'Italia.
La targa che lo commemora e' una via a lui dedicata che esiste ancora oggi.