Ogni qualvolta mi capita di leggere qualche passaggio di questa lettera non riesco ad andare oltre per la forte emozione che mi provoca, la stessa forte emozione che provai nel visitare il sacrario di Kobrid(*) in Slovenia dove mia madre mi aveva detto trovarsi i resti di ben due dei suoi fratelli, anch'essi morti per quella Patria e per quell'ideale di "civile convivenza" che oggi in tanti, in troppi (con governo e maggioranza in prima linea) tentano con ogni mezzo di SRADICARE dalle nostre coscienze.
GUAI A VOI!!!
GUAI A VOI!!!
E se non lo aveste ancora capito ve lo diciamo chiaramente:
In Italia siamo MILIONI ad avere di quegli ideali di UNITÀ e di FRATELLANZA che voi avete cancellato dalle vostre coscienze e sentiamo ancora profondo IL DOVERE di batterci per quegli ideali.
A tutti coloro che tentano di cancellare la coscienza di noi italiani: sappiate che sarete sommersi di lettere come questa.
«Domani partirò per chissà dove, quasi certo per andare alla morte. Quando tu riceverai questa mia, io non sarò più. Forse tu non comprenderai questo, non potrai capire come non essendo io costretto sia andato a morire sui campi di battaglia. Addio, mia madre amata...».
Firmato: Il Milite Ignoto.
(*) Kobrid e' il nome Sloveno di Caporetto.
A Bossi e alla Lega un solo messaggio:
Quei due fratelli di mia madre sepolti a Caporetto vennero ad offrire la loro vita affinché VOI, proprio voi, poteste vivere in un'Italia MIGLIORE!!!
VERGOGNATEVI!!!
Quei due venivano dalla Sicilia.
(dal Corriere.it)
Grande Guerra Il convoglio trasporta una mostra, una sala di proiezione e alcuni cimeli
Il Milite Ignoto e la folla Quel treno come nel ' 21
Da Aquileia a Roma, si ripete il rito collettivo Fermate impreviste Migliaia alla partenza, fermata imprevista perché in tanti hanno reso omaggio in Veneto
«Domani partirò per chissà dove, quasi certo per andare alla morte. Quando tu riceverai questa mia, io non sarò più. Forse tu non comprenderai questo, non potrai capire come non essendo io costretto sia andato a morire sui campi di battaglia. Addio, mia madre amata...». La folla che da tre giorni accorre nelle stazioni del Friuli e del Veneto - in migliaia alla partenza da Cervignano, binari bloccati a Conegliano dove il treno è stato costretto a una sosta non prevista, altri capannelli commossi a Udine, Treviso, Venezia, Padova, Rovigo, Bologna - forse non ha mai letto la lettera di Antonio Bergamas alla madre Maria, la donna incaricata novant' anni fa di indicare il Milite Ignoto che riposa all' Altare della patria a Roma. Eppure in tantissimi, molti più delle previsioni, hanno sentito di dover salutare il passaggio del «treno della memoria», che rievoca il viaggio compiuto nel 1921, in questi stessi giorni, dalla tradotta con la bara del soldato che rappresentava tutti i 650 mila caduti italiani. Antonio Bergamas era uno dei duemila volontari partiti da Trento e Trieste: sudditi austriaci, che l' imperatore mandava a combattere in Galizia, contro i russi, o in Serbia. Ma in duemila disertarono, e andarono a combattere con gli italiani, contro gli austriaci, andando verso morte quasi certa: se anche sopravvivevano agli assalti, non venivano fatti prigionieri ma impiccati, come Cesare Battisti. Il figlio di Maria Bergamas cadde sul Carso, nel 1915. Sette anni dopo, la donna fu portata nel Duomo di Aquileia, davanti a undici bare di ragazzi sconosciuti, come suo figlio. Lei si tolse lo scialle nero, e lo posò sulla seconda bara. A quel punto il cerimoniale tentò di farla uscire. Ma lei volle salutare anche gli altri caduti, come per chiedere scusa di non aver scelto loro. Arrivata davanti all' ultima bara, si accasciò per l' emozione. Poi si riprese, visse ancora una vita lunga, morì nel ' 54, e ora riposa nel cimitero di guerra di Aquileia, accanto agli altri dieci militi ignoti. Il feretro del prescelto partì per Roma in treno. Fu un rito collettivo, un funerale di massa. L' identificazione del Milite Ignoto con i propri cari fu tale che una madre pretendeva di far aprire la cassa, certa di trovarvi i resti del figlio. Tra Aquileia e Roma, il treno si fermò in 120 città e paesi, dove sindaci e cittadini riempirono il convoglio con oltre 1.500 corone, sotto lo sguardo di folle inginocchiate. A Roma il treno arrivò il 2 novembre. Alla stazione Termini lo attendevano il re con la famiglia e i 335 vessilli dei reggimenti schierati nella Grande Guerra. La bara fu portata su un affusto di cannone nella basilica di Santa Maria degli Angeli, dove vennero celebrate le esequie. Il 4 novembre 1921, terzo anniversario della vittoria, alle 10 e mezza del mattino, il Milite Ignoto fu deposto in un loculo sotto la statua della Dea Roma. Vittorio Emanuele III lasciò una medaglia d' oro. Poi gli argani lasciarono cadere la lastra di marmo. Anche stavolta il «treno della memoria» arriverà a Roma il 2 novembre, accolto dal capo dello Stato, dopo la sosta a Firenze. È composto da tre vagoni che ospitano una mostra, più un quarto allestito come sala di proiezione di filmati e una riproduzione del vagone che portò la bara, con un affusto di cannone d' epoca, il braciere e la teca con la bandiera originali. Non esattamente un' attrattiva per i curiosi. Piuttosto, un simbolo. Che ha avuto un' accoglienza commossa e sorprendente; a cominciare dal Nord-Est, dove la Lega è il primo partito e alla partenza non ha mandato nessun rappresentante, senza che l' ennesima inutile polemica turbasse l' atmosfera di raccoglimento e di rispetto. Anche questo è un segno del successo dei 150 anni dell' unificazione; tanto più significativo in quanto la memoria diretta della Grande Guerra si è spenta, gli ultimi fanti se ne sono andati uno dopo l' altro negli anni scorsi, e la memoria dei sacrifici e dei patimenti può vivere solo nei segni, nei racconti, nelle carte. Come la lettera che Antonio Bergamas scrisse alla madre, per spiegarle la sua scelta di andare a morire dalla parte degli italiani: «Perdonami dell' immenso dolore ch' io ti reco e di quello ch' io reco al padre mio e a mia sorella, ma, credilo, mi riesce le mille volte più dolce il morire in faccia al mio paese natale, al mare nostro, per la Patria mia naturale, che il morire laggiù nei campi ghiacciati della Galizia o in quelli sassosi della Serbia, per una Patria che non era la mia e che io odiavo. Addio mia mamma amata, addio mia sorella cara, addio padre mio. Se muoio, muoio coi vostri nomi amatissimi sulle labbra, davanti al nostro Carso selvaggio».
Aldo Cazzullo
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