martedì 17 novembre 2009

D'Alema uno statista su misura per la causa del berlusconismo.

Come puo' un uomo che si definisce "di sinistra" e che ne è stato persino uno dei leaders di spicco, accettare "candidature" da parte di Berlusconi e di una destra odierna che è piu subdola e piu' pericolosa di quella del ventennio mussoliniano?

In nome di una visione ristretta della politica, regionalistica, campanilistica, che è quella che la sinistra ha sempre combattuto?

"L'elezione di D'Alema a Mr. Pesc sarè un bene per l'Italia".

E' una immane stronzata che sentiamo ripetere continuamente dai suoi sostenitori di destra.


(da Repubblica.it)

Berlusconi non replica alle parole di Fini sulle riforme
e mette a tacere le voci che parlano di elezioni anticipate

"Troppo rischiose le urne adesso"
il premier aspetta l'ok sulla giustizia

di FRANCESCO BEI


"Troppo rischiose le urne adesso" il premier aspetta l'ok sulla giustizia

Silvio Berlusconi

ROMA - All'ultima uscita di Gianfranco Fini sulle riforme da fare in maniera condivisa tra maggioranza e opposizione, Silvio Berlusconi non intende rispondere. In silenzio stampa da due settimane, il premier ieri ha trascorso l'intera giornata impegnato in incontri internazionali - prima il vertice Fao, poi Lula, Gheddafi - e alle parole del presidente della Camera ha riservato un'alzata di spalle: "Anche a me piacerebbe poter arrivare a riforme condivise, ma con questi come si fa? Bersani non è diverso dall'altro che c'era prima". Ragionamenti a cui ha fatto eco ieri il presidente del Senato, Renato Schifani, che si è incaricato di replicare a Fini affermando che l'idea di riforme condivise "è sempre auspicabile", ma "è già passato un anno e mezzo dall'inizio della legislatura e non si è fatto nulla".

E tuttavia il Cavaliere non ha ancora perso la speranza di far cambiare atteggiamento al Pd. E confida molto nel lavoro diplomatico affidato a Franco Frattini per portare avanti la candidatura di Massimo D'Alema a ministro degli esteri europeo. Una partita talmente importante da costringerlo alla cautela, a mordersi la lingua pur di non alimentare nuovi scontri. Insomma, "tempo dieci giorni - dice uno degli "spin doctor" del premier - e la situazione si chiarirà. Sempre che D'Alema non venga fatto fuori dai socialisti". A quel punto "tutte le carte saranno sul tavolo e Berlusconi tornerà a farsi sentire".

Già, ma per dire cosa? In questi giorni il presidente del Consiglio ha messo a tacere le sirene che, con sempre maggiore insistenza, gli andavano consigliando la strada delle elezioni anticipate per risolvere con un colpo di scure i problemi della maggioranza. Un percorso "pieno di rischi" che, a suo giudizio, lo esporrebbe oltretutto all'insidia di dover affrontare i processi milanesi senza salvacondotti di legge.

Oltre alla prospettiva di andare ad elezioni anticipate con il rischio di perderle, il Cavaliere ha maturato un ulteriore timore legato a Gianfranco Fini. A farlo riflettere è stata quella frase, pronunciata dal presidente della Camera nell'intervista con Lucia Annunziata, quando Fini ha ricordato che, a decidere dello scioglimento delle Camere, non è il premier "ma il capo dello Stato". Una constatazione solo apparentemente ovvia. "È evidente - ragiona infatti una colomba berlusconiana contraria allo scontro con Fini - che, se Berlusconi volesse andare al voto, si troverebbe a dover fronteggiare una scissione dell'ala finiana. A cui si aggiungerebbero tutti quei parlamentari che hanno paura di non essere ricandidati". Anche la Lega, nonostante il rapporto tra Berlusconi e Bossi resti saldo, sarebbe un'incognita, visto che il voto manderebbe all'aria il percorso verso l'agognato federalismo fiscale.

Insomma, la paura del circolo berlusconiano è che, invece delle elezioni, Napolitano possa avallare un tentativo di mandare avanti la legislatura con un esecutivo istituzionale. E, a quel punto, osserva ancora la colomba forzista, "la prima riforma sarebbe una legge elettorale alla tedesca senza il premio di maggioranza, per togliere a Berlusconi qualsiasi possibilità di prevalere da solo".

Certo, se è vero che il Cavaliere ha chiaro lo scenario che si trova davanti, non è detto che alla fine non prevalga l'umore nero di questi giorni e faccia comunque saltare il tavolo. Alcuni fedelissimi ormai lo dicono apertamente. Giorgio Stracquadanio e Mario Valducci stanno auto-organizzando per il 5 dicembre una manifestazione a sostegno del premier contro il "No-B Day" e si dichiarano "stufi di prenderle e basta". Puntano a portare in piazza 20 mila persone, "20 per ognuno dei mille club della libertà".

Che fare allora? "Bisogna capire - confida Valducci - se questo Pdl c'è o non c'è su questa battaglia sulla giustizia, al di là di tutti i cavilli giuridici sul processo breve. Perché, se qualcuno non ci sta, purtroppo viene meno una delle ragioni fondanti del Pdl, che è il "no" alle invasioni di campo della magistratura". Valducci - ora presidente della commissione Trasporti della Camera e con il Cavaliere fin dal '94 - lancia un vero ultimatum, segno che ormai tutto è possibile: "Se non c'è la legge sul processo breve entro Natale, vuol dire che il progetto del Pdl è fallito. Meglio prenderne atto e dire basta con questo stillicidio".

A tenere alta la tensione c'è anche il caso Cosentino, il coordinatore del Pdl in Campania di cui la magistratura ha chiesto l'arresto per i presunti legami con i clan camorristici. Cosentino è anche sottosegretario all'Economia e i finiani non si accontentano della sua rinuncia alla candidatura a presidente della Regione, vorrebbero che si dimettesse anche dal governo. "Noi - spiega Fabio Granata, vicepresidente dell'Antimafia - è chiaro che non presenteremo una mozione di sfiducia contro di lui. Ma se in Parlamento qualcuno la presentasse, non potremmo certo smentire le nostre opinioni". E, in questa situazione infiammabile, un voto favorevole dei finiani con l'opposizione potrebbe giusto essere l'innesco di una crisi di governo.

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