venerdì 28 maggio 2010

Io non sono intollerante, anzi tutti gli intolleranti li fucilerei!!!

Sembra un paradosso?
E' un paradosso!

Che i "cattivi" abbiano qualche rotella fuori posto, come si dice volgarmente, e' un fatto risaputo da tutti, più che risaputo... constatato da tutti.
Parlo di cattiveria gratuita... ovviamente, non di cattiveria indotta da una sana reazione a qualche violenza che si subisce.

Per dirla in soldoni, nessuno di noi senza motivo si sognerebbe mai di recare offesa a qualcuno, né verbale né tantomeno fisica.

A volte un diverbio può nascere da una incomprensione persino lieve e scatenare reazioni ben più violente; ma senza una vera motivazione nessuna persona normale si sognerebbe di recare "offesa" ad altre persone e meno che mai a delle persone risaputamente o visibilmente deboli: bambini, donne, anziani, portatori di handicap, feriti, mutilati, ecc ecc ecc.

Per dirla in altri termini, una caratteristica della nostra "umanità" e' quella di identificarci con le persone che ci stanno intorno e di viverne (a volte anche amplificate dalla nostra personale sensibilita') le sensazioni e le emozioni.

Che cosa dunque permette a certi individui di "non provare" queste emozioni?

Per i razzisti pare che sia stata scoperta la causa (genetica) del perché non si identificano e quindi non provano le emozioni (in modo particolare il dolore) di chi appartiene ad altri gruppi etnici.
Questo spiegherebbe anche perché questa stessa categoria di persone non provi alcuna emozione nel veder soffrire un animale; infatti fateci caso... la stragrande maggioranza dei cacciatori é anche razzista; portata a considerare gli altri esseri viventi (e le altre razze umane) come esseri inferiori.

Ma che succede invece a chi (come al sottoscritto, e come presumo alla stragrande maggioranza del genere umano) non solo rivivono quelle stesse sensazioni, ma le vivono in maniera amplificata nel proprio io fino al punto da soffrirne peggio e più della stessa vittima?

A questo punto possono subentrare due fenomeni distinti e molto diversi fra loro a cui fanno seguito due reazioni stranamente antitetiche:

1) Prima reazione: malessere generale... seguito da una perdita dei sensi, da un calo spaventoso della pressione e dal crollo fisico, comunemente chiamato svenimento.

2) Seconda reazione: iper-produzione di adrenalina con reazione immediata "a difesa", che data l'identificazione con chi sta subendo la violenza si identifica con l'autodifesa. In alcuni casi... certamente rari ma sicuramente esistenti per averne sperimentati in prima persona gli effetti, questa reazione assume i caratteri violenti e terrificanti alla Hulk.
In questi frangenti, una volta superato il confine tra il bene e il male... si vedranno allora i caratteri della violenza identici a quelli della violenza primaria che li ha generati e che in buona sostanza non fa altro che confermare il detto:

Non c'è cosa peggiore e più terrificante dell'ira del Giusto!


(dal Corriere.it)

la scoperta

Così funziona il cervello razzista
Lo studio dell'Alma Mater

Viene condiviso solo il male per la propria etnia
La ricerca pubblicata su «Current Biology»

Il cervello dei razzisti è insensibile al dolore fisico nelle altre razze. Fatica a identificarsi spontaneamente nella sofferenza fisica di individui di gruppi etnici diversi dal suo. La prova è arrivata mostrando, a persone sottoposte a stimolazione magnetica transcranica, sia bianchi italiani che neri africani residenti in Italia, immagini di aghi conficcati sul dorso di mani dalla pelle di colore diverso. L’inedito risultato, che verrà pubblicato i primi di giugno sulla rivista scientifica Current Biology, è frutto dello studio di un gruppo di ricercatori guidati da Alessio Avenanti, 34 enne psicologo del Centro studi e ricerche in neuroscienze cognitive dell’Alma Mater.

EMPATIA - «Abbiamo osservato — spiega — che la reattività di base del nostro cervello implica empatia, cioè capacità di condividere e comprendere i sentimenti e le emozioni altrui, nei confronti di chi è diverso, anche molto diverso da noi. Il nostro cervello risponde finché non ci sono stereotipi o pregiudizi razziali in gioco, pregiudizi che sono ereditati e trasmessi dall’apprendimento culturale». Insomma, non si nasce razzisti. È un certo apprendimento culturale che determina una ridotta empatia verso il diverso. È dal 2006 che il gruppo di Avenanti ha iniziato lo studio sulle variabili che possono intervenire nella reazione al dolore degli altri.

I TEST - «Un giorno è venuta una ragazza di colore — racconta il ricercatore — e abbiamo notato che non aveva le reazioni che ci aspettavamo di fronte ad immagini di bianchi. Abbiamo capito che dovevamo fare uno studio più mirato». La sperimentazione, che si è conclusa a fine 2009, ha coinvolto una quarantina di studenti universitari, per metà bianchi italiani e per metà neri africani residenti nel nostro Paese. Gli studiosi hanno testato la reazione ad immagini dolorose relative al proprio e all’altro gruppo razziale. Quando un bianco osserva un ago conficcarsi nella mano di un bianco, nel suo cervello si attiva la stessa reazione come se stesse provando dolore sulla sua mano. Analogamente accade per un nero davanti a immagini dolorose di un nero. La reazione è invece pressoché assente quando si osserva l’immagine di dolore di un gruppo etnico differente dal proprio. «Abbiamo provato allora con mani artificialmente colorate di viola — spiega Avenanti —, percepite come molto strane e per nulla familiari da entrambi i gruppi. E qui c’è stata la sorpresa: entrambi manifestavano empatia nei confronti del dolore di quella mano viola. Dunque non è tanto il diverso, anche il molto diverso, a determinare la differente risposta, ma il significato culturale associato ad esso».

PREGIUDIZI INCONSCI- A rafforzare questo risultato i ricercatori sono arrivati con un ulteriore test sui pregiudizi razziali inconsci. Tanto più il soggetto, bianco o nero che fosse, è risultato inconsapevolmente razzista tanto più flebile è apparsa la sua capacità di immedesimazione. La sperimentazione è stata compiuta utilizzando la stimolazione magnetica transcranica, una tecnica per lo studio del cervello che consente di registrare l’attivazione dei circuiti neuronali associati a diversi movimenti del corpo. Allo studio, oltre ad Avenanti, hanno partecipato Salvatore Maria Aglioti, docente dell’università La Sapienza di Roma e dell’Ircss Fondazione Santa Lucia, e Angela Sirigu dell’Istituto di scienze cognitive del Cnrs francese di Lione.

Marina Amaduzzi
28 maggio 2010


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