(da Repubblica.it)
IL RETROSCENA
Marcegaglia: "Vogliono la guerra"
e gli industriali rompono col premier
Dopo le minacce di dossier del Giornale contro la N. 1 di Confindustria c'è la rivolta dei "padroni": è finita la storica contiguità"
di ROBERTO MANIAROMA - "Questa è la dimostrazione che i dossier c'erano davvero". Emma Marcegaglia è a Gazoldo degli Ippoliti, headquarter del gruppo siderurgico di famiglia. Ha appena appreso che il "Giornale" uscirà con un dossier su di lei, sugli "affaire della family Marcegaglia", come aveva "avvertito" via sms Nicola Porro, il vicedirettore del quotidiano della famiglia - questa volta - Berlusconi. "Vogliono la guerra", le scappa d'istinto mentre, con i suoi più stretti collaboratori, comincia a studiare le contromosse. Ma questa non è, e non sarà, una guerra tra famiglie. Da ieri è iniziata un'altra storia nei rapporti tra la Confindustria, da una parte, e il centrodestra, dall'altra, con il suo governo e i suoi giornali. E i loro metodi.
Emma Marcegaglia, la prima donna al vertice della più influente lobby nazionale, fino a metà giornata pensava che tutto sarebbe gradualmente rientrato. Aveva chiesto di tenere il profilo basso ai suoi associati, nessuna dichiarazione pubblica di solidarietà, nessuna polemica. Una sorta di consegna del silenzio per non finire nel tritacarne. Fino all'annuncio di Vittorio Feltri e Alessandro Sallusti. Quella è stata la dichiarazione di guerra. L'idea berlusconiana della contiguità naturale tra il suo centrodestra populista e la Confindustria dei suoi "colleghi" imprenditori è andata improvvisamente in frantumi. Anni di collateralismo cancellati, forse anche rinnegati. Vanno in archivio l'abbraccio di Parma (2001) con "il vostro programma è il mio" di Berlusconi e lo strappo di Vicenza (2006) con il Cavaliere che scatena la base dei piccoli arrabbiati contro i Montezemolo, i Della Valle, i Pininfarina, insomma i nobili sempre in prima fila.
Ieri, però, una stagione è di colpo ingiallita. Perché pure i berluschini come li apostrofò l'avvocato Agnelli all'indomani della salita di Antonio D'Amato alla presidenza di Viale dell'Astronomia, hanno detto basta. Basta "all'imbarbarimento del clima politico", come hanno scritto nel comunicato, senza precedenti per toni e argomenti, del Comitato di presidenza della Confindustria. Questo è il "governo" dell'associazione, la squadra di Emma Marcegaglia. Meglio ricordarli i nomi dei "ministri": John Elkann, Alberto Bombassei, Federica Guidi, Paolo Zegna, Edoardo Garrone, Diana Bracco, Giorgio Squinzi, Gianfelice Rocca, Cristiana Coppola, Cesare Trevisani, Antonio Costato, Vincenzo Boccia, Luca Garavoglia, Aldo Bonomi e Salomone Gattegno.
Sono lo specchio dell'Italia industriale, grandi e piccoli imprenditori, con i medi del "quarto capitalismo" che da tempo fanno i conti con la globalizzazione. Sono quelli che, insieme agli operai, stanno reggendo la baracca di un paese che - nonostante l'ottimismo berlusconian-tremontiano - ha perso sei punti di Pil nel biennio della recessione e che per recuperarli dovrà aspettare diversi anni, più della Francia, più della Germania. Non lo dice l'opposizione ma la Banca d'Italia. Sono loro che nel comunicato del Comitato di presidenza hanno imposto un passaggio chiave:
"Stiamo assistendo a un imbarbarimento del clima politico, che oltre a creare sentimenti di disaffezione e disistima nei cittadini, non incoraggia le imprese a continuare a lottare per difendere ed accrescere il benessere che abbiamo conquistato". Non è una resa ma l'annuncio di un possibile addio, quello che gli industriali chiamano delocalizzazione. Di certo è la certificazione del divorzio con il modello politico e culturale di Berlusconi. Mai si erano espressi in questi termini nei confronti di un governo che a stragrande maggioranza gli industriali hanno votato e sostenuto. Una frattura così profonda che Berlusconi non deve aver messo in conto o che forse ha finito per sottovalutare.
E' come se il "partito dei padroni" abbia deciso di fare da sé, proprio mentre al governo ci sarebbe una maggioranza ideale: ampia, di destra, favorevole all'impresa, molto settentrionale.
Alla presidente della Confindustria ieri sera è arrivata anche la telefonata di solidarietà del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Ma non quella del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Lui, il Cavaliere, l'imprenditore self made, l'uomo del fare è rimasto in silenzio. Con Emma Marcegaglia erano seduti fianco a fianco, giovedì scorso, alla colazione a Villa Madama con il primo ministro della Cina Wen Jiabao. Neanche una parola sulle intercettazioni, sulle "minacce" arrivate proprio dal giornale della sua famiglia, di proprietà del fratello Paolo. Silenzio. Che continuerà perché Silvio Berlusconi non ha alcuna intenzione di esprimere solidarietà alla Marcegaglia. Lui la voleva nel governo, come ministro dello Sviluppo economico, ma prima l'aveva anche catalogata tra le "veline".
Ieri la Marcegaglia avrebbe dovuto andare all'assemblea degli imprenditori di Trento. Ma dopo l'annuncio di Feltri-Sallusti non se l'è sentita. Non le andava di affrontare il viaggio, e neanche l'assedio dei giornalisti. Ha scelto il collegamento telefonico e ha deciso, di non aspettare il dossier, e di andare all'attacco con il comunicato del Comitato di presidenza. Lasciando, anzi chiedendo, "libertà di parola" ai suoi colleghi. Ed è stata quasi una ribellione civica. Prove - per una volta - di rivolta delle elite. Un pezzo di classe dirigente, influente, tendenzialmente cauta e moderata è scesa in campo. Usando un linguaggio e ricorrendo ad analisi sul degrado italico che solo qualche giorno fa sarebbero stati inimmaginabile. Dicendo le cose che - secondo Luca di Montezemolo - tutti già dicevano in privato ma mai - colpevolmente - in pubblico. Per esempio l'editore Alessandro Laterza: "Il caso Boffo dovrebbe averci insegnato qualcosa"; oppure Andrea Tomat, presidente della Confindustria Veneto: "Emma Marcegaglia è una delle poche voci autorevoli, indipendenti e coraggiose e, forse, per questo scomode e mal tollerate"; o anche la Confindustria campana: "La libertà di agire e di esprimersi non deve essere negata a nessuno". La rivolta dei padroni.
=======================================================================
(da Il Corriere.it)
L'intervista «A dire ciò che si pensa si rischia di essere maltrattati»
«Nessun dossier cambierà i miei giudizi sul governo»
Marcegaglia: ora si parla di scherzo, ma le parole hanno un peso
L'intervista «A dire ciò che si pensa si rischia di essere maltrattati»
«Nessun dossier cambierà i miei giudizi sul governo»
Marcegaglia: ora si parla di scherzo, ma le parole hanno un peso
Presidente Marcegaglia, come si sente?
«Ho avuto giorni migliori. Mi confortano i 500 sms di solidarietà che ho ricevuto. Quelli che continuano ad arrivare. E i comunicati di sostegno di numerosi imprenditori da tutta Italia».
Le va di chiarire quel che è accaduto?
«Credo sia opportuno farlo, vista la singolarità della vicenda. Ho fatto una verifica e ho visto che, almeno negli ultimi quindici anni, non è mai successo che un presidente di Confindustria sia stato chiamato a rispondere a un magistrato sull'ipotesi di aver ricevuto pressioni mediatiche. Non c'è un precedente. Anche per questo, mi preme precisare due punti».
Il primo?
«C'è una questione di ordine generale, che attiene alla libertà e alla serietà delle opinioni espresse non da Emma Marcegaglia come cittadina ma come presidente di Confindustria. Nessun "dossier", nessun gossip, nessuna indiscrezione o minaccia può provocare come effetto che io modifichi, attenui o aggravi il mio giudizio sulla congiuntura, sul governo, sull'opposizione. Se qualcuno facesse queste pressioni, o se io ne avessi anche solo l'impressione, il mio dovere sarebbe reagire con fermezza, per rispetto del patto d'onore che ho stretto con i miei associati. E per rispetto del mio mandato, che vincola me, come i miei predecessori e i miei successori, ad agire senza altra valutazione che non sia rappresentare le idee degli imprenditori italiani sulla crescita e sul lavoro. Senza attenuazioni o modifiche».
E' proprio questo il punto: le pressioni ci sono state, o almeno lei ha avuto l'impressione che ci fossero?
«Be', a espressioni tipo "le romperemo il c. per venti giorni" corrisponde un certo significato. Ora si parla di scherzo, di "cazzeggio". Ma le parole hanno un peso. Quando dico delle cose, io peso le parole. Sarà il magistrato a valutare. Io non sono andata spontaneamente dal pm; sono stata chiamata come persona informata sui fatti».
Appunto: perché non si è rivolta di sua iniziativa alla magistratura?
«Perché non mi sembrava una questione di tale gravità da avere rilievo penale. E spero sinceramente che la magistratura possa giungere alla stessa conclusione. Così come spero che tutti quanti abbassino la violenza del linguaggio».
Ma secondo lei l'obiettivo del Giornale era semplicemente un'intervista? O era indurla a cambiare linea sul governo?
«Com'è noto, io non ho parlato direttamente con il Giornale. Probabilmente era un insieme di cose. Un atteggiamento complessivo. Io non voglio polemizzare con il Giornale. Mi limito a ricordare che viviamo un momento molto delicato. Ci sono state aggressioni, insulti, irruzioni. C'è un sindacato, la Cisl, nel mirino degli estremisti. Sarebbe bene moderare il linguaggio».
Feltri ha detto che «la Marcegaglia ha rotto i coglioni».
«Non ho nulla contro Feltri. Lo considero un grande giornalista, uno dei migliori d'Italia. Lo apprezzerei ancora di più se usasse un linguaggio diverso. Perché la violenza verbale non è senza conseguenze. Detto questo, c'è un altro punto da chiarire».
Quale?
«Io ho il pieno rispetto della libertà di stampa. La considero sacrosanta, anche nei confronti dell'impresa, e anche nei confronti della mia impresa di famiglia. Penso che sul gruppo Marcegaglia si possa e si debba scrivere quel che è necessario. Non potrei esprimermi diversamente, vista la scelta di Confindustria per la trasparenza, contro la criminalità organizzata. Per la prima volta abbiamo stabilito di espellere chi paga il pizzo. Abbiamo adottato il protocollo di legalità. Proprio perché la mia Confindustria si è data questa linea, non ho problemi a far sì che si parli di tutto. Il mio braccio è fermo. Non sarà un dossier o una minaccia di dossier a farmi tremare».
Non ha timori?
«No. Ci sono delle indagini in corso. Ho piena fiducia nella magistratura. Sono vicende note e già pubblicate, alcune delle quali accadute quattro o cinque anni fa; su cui peraltro il Giornale un richiamo, sia pure piccolo, l'ha fatto comunque».
Si riferisce alla condanna patteggiata da suo fratello?
«Una cosa risaputa. Siamo molto sereni. La mia Confindustria non fa politica. Neppure io voglio farla: finiti questi quattro anni, me ne torno in azienda. Quando Berlusconi mi ha offerto il ministero per lo Sviluppo, ho ringraziato di cuore ma ho declinato. La nostra forza è la nostra assoluta indipendenza di giudizio. Non posso, per paura di un articolo o di un campagna giornalistica, cambiare idea sulle misure per risollevare il paese dalla crisi, e sulla necessità di occuparci di economia anziché di cognati, amanti, case a Montecarlo».
Sono le parole che disse al meeting di Rimini.
«E' il comune sentire degli imprenditori italiani. Ma non è una critica al Giornale. I quotidiani scrivono quel che vogliono; l'importante è che la politica si concentri sulle cose da fare. Berlusconi stesso, un paio di settimane fa, ha stigmatizzato una politica ridotta a teatrino. Affrontiamo allora la situazione: capisco i vincoli di bilancio, ma per la disoccupazione e la produttività alcune misure vanno prese, e in fretta».
Parlando con Porro, il suo capufficio stampa Arpisella dice che la nomina di Riotta alla direzione del Sole 24 Ore è stata "concordata con Berlusconi e Letta". Lei ha smentito. Come sono andate davvero le cose?
«Non ho concordato assolutamente nulla con Letta e Berlusconi. E' stata una decisione che ho preso in totale e piena autonomia. E in pochi giorni. Il venerdì pomeriggio, dopo che de Bortoli era andato al Corriere, scelsi come suo successore Riotta. La domenica sera avvertii per cortesia istituzionale Letta e Berlusconi, perché non apprendessero la notizia il giorno dopo dai quotidiani; tanto più che Riotta era il direttore del Tg1».
Con Berlusconi avete parlato delle intercettazioni?
«No. Giovedì ci siamo visti molto velocemente, al pranzo con il primo ministro cinese. Non me ne ha fatto cenno. Poi io sono dovuta partire per andare dalla Merkel. Ora lui va in Russia. Ci sentiremo. Mi pare che in questa vicenda lui non c'entri assolutamente nulla».
Ne è sicura? L'intervento di Confalonieri sembra confermare che una qualche influenza sul Giornale Berlusconi o gli uomini a lui più vicini la esercitano.
«Magari mi sbaglio. La mia sensazione è stata che la cosa riguardasse la direzione del Giornale».
Con quale idea esce dalla vicenda: la discussione pubblica in Italia non è libera? O basta avere il carattere per dire quel che si pensa?
«Be', a dire quel che si pensa, il rischio di essere maltrattati c'è. E' possibile che una voce libera e indipendente dia fastidio. Comunque, io vado avanti. Il rischio lo corro volentieri».
Non tutti però possono chiedere l'intervento di Confalonieri...
«E' vero. Detto questo, non mi pento di averlo fatto. Il tono della telefonata ricevuta dal mio capufficio stampa mi aveva infastidita e allarmata. Fedele è un amico e una persona di grande correttezza, e si è confermato tale in questa vicenda. Anche se alla fine il "dossier" esce comunque... (Emma Marcegaglia sorride). Il Giornale annuncia che dedicherà quattro pagine a me e alla mia famiglia. Non sono preoccupata. Non abbiamo nulla da temere».
E' sicura di non voler fare politica? Il suo nome cominciava a circolare come possibile candidato futuro a Palazzo Chigi.
«Lo escludo. Nonostante questa vicenda, sono molto felice di fare il presidente di Confindustria: un'esperienza straordinaria. Nell'aprile 2012 tornerò a un altro mestiere bellissimo: occuparmi dell'azienda della mia famiglia, in piena crescita internazionale. Non ho dubbi al riguardo».
09 ottobre 2010
Nessun commento:
Posta un commento