Non è consentito avere "pensieri impuri" che non siano rigorosamente riconosciuti ed abbiano avuto il preventivo IMPRIMATUR della Sacra Corte Arcorense.
E meno che meno e' consentito esternare, sia pure in ambito ristretto in una conversazione discorsivo-leggera con amici delle opinioni o dei dubbi.
Eresia!!! Eresia!!!
E subito i Componenti del Gran Consiglio della Sacra Inquisizione Arcorense si scagliano come iene fameliche contro L'ERETICO che ha osato tanto, che ha osato commettere il peccato più grave che la nuova religione ha già bollato come UNICO PECCATO MORTALE:
IL PECCATO DI PENSARE!!!
Il Pensiero!!!
Il pensiero come peccato primordiale e come origine di tutti i mali.
Nella Nuova Sacra Corte una sola cosa e' consentita:
L'ADORAZIONE INCONDIZIONATA!!!!
Adoremus Silvium!!!
(da Repubblica.it)
Fuorionda di Fini, due segnali lasciano pensare che il Cavaliere
propenda per un drammatico e traumatico "redde rationem"
Le due destre
di MASSIMO GIANNINI
Silvio Berlusconi
C'ERANO due modi per disinnescare la bomba atomica del fuorionda in cui Gianfranco Fini dà del monarca a Silvio Berlusconi, e marca la distanza irriducibile tra la sua idea di destra e quella del Cavaliere. Il primo modo era usare il buonsenso: prendere atto di quella distanza, che non è certo nuova ma risale addirittura al congresso fondativo del Pdl, e colmarla con la valorizzazione delle differenze, necessarie e vitali in un partito che si vuole pluralista e di massa. Il secondo modo era usare la clava: cogliere l'occasione di un incidente sia pure sgradevole, ma di per sé non così destabilizzante, per bastonare e regolare una volta per tutte i conti con quello che evidentemente non si considera più un alleato, ma un avversario. Non più il co-fondatore del Popolo delle libertà, ma l'eversore del partito unico del centrodestra.
Non sappiamo ancora quale linea ufficiale abbia scelto e sceglierà il presidente del Consiglio. Al di là della solita "ira" che lascia trapelare attraverso la sua corte, il premier non si è ancora espresso sul piano formale, per dire la sua sulle esternazioni sfuggite al presidente della Camera a L'Aquila. Ma due segnali lasciano pensare che il Cavaliere propenda per un drammatico e traumatico "redde rationem".
Intanto, le parole meditate di Claudio Scajola, che afferma chiaramente che Fini è ormai lontano dallo spirito identitario e dalla constituency politica del Pdl. E poi il titolo del Tg1 di ieri sera che, amplificando quello dei giornali di famiglia usciti ieri mattina ("Fini chiarisca o si dimetta") parla testualmente di "ultimatum" al presidente della Camera.
È vero che due indizi non fanno una prova. Ma è altrettanto vero che questi segnali contano e pesano. Scajola è un ministro di rilievo, oltre che dirigente di spicco dell'ex Forza Italia: non appartiene alla claque dei Cicchitto e dei Capezzone, dei Gasparri e dei Quagliarello, "reagenti" di professione incaricati della dichiarazione quotidiana da infilare nei pastoni televisivi. E il Tg1 di Minzolini, come dimostra precedenti inequivoci (dalle omissioni sulle escort alle suggestioni sull'immunità parlamentare) si può considerare a tutti gli effetti "l'organo ufficiale" del partito del presidente, che non incede nella grottesca agiografia del Tg4 di Emilio Fede, ma interpreta l'ortodossia ideologica e anticipa la linea politica del Pdl di rito arcoriano.
Dunque, il combinato disposto di questi fattori lascia pensare che per Fini sia cominciata, o stia per cominciare una sorta di "purga berlusconiana".
Come si addice al partito-caserma, l'unico che il presidente del Consiglio concepisce e che il presidente della Camera aborrisce. Come è logico per la muta famelica di cani che da giorni, in Transatlantico e sui giornali-cognati, ha lanciato la caccia a Fini sospettandolo di criminale complotto e di altro tradimento, e che ora sente, nelle sue frasi pronunciate a ruota libera in quel famigerato fuori onda, l'eco di una profezia che si autoavvera.
Ma se questo è il disegno, cacciare il "mercante" dal tempio dell'unto del Signore, bisogna dire che l'operazione è insieme avventurosa e pericolosa.
Avventurosa, perché Fini è pur sempre la terza carica dello Stato, e dal modo in cui ha messo in riga il livido Bondi a Ballarò è evidente che l'uomo non rinuncerà mai a far vivere la sua idea alternativa di centrodestra, incontrando su questo un consenso nel Paese e un sostegno nel partito, per quanto, per ora, entrambi minoritari.
Operazione pericolosa, perché il Pdl senza il co-fondatore Fini diventa, sul piano culturale e sociale, il partito di una destra a trazione esclusivamente forza leghista, esasperata ed esagitata, che non ha eguali in Occidente e non ha paragoni nelle famiglie del popolarismo europeo. Un partito estremista e populista, che si chiude nella sua ridotta identitaria, padana e neanche più tanto sudista, e si preclude ogni possibile riapertura di gioco con il centro di Casini, difficilmente spendibile per sostituire Fini nel ruolo di stampella di un Cavaliere sempre più azzoppato.
Berlusconi farà bene a ponderare le sue mosse. La sua destra, rivoluzionaria e plebiscitaria, può anche vincere questa partita interna. Ma i fatti stanno dimostrando che l'altra destra, quella di Fini, istituzionale, laica e repubblicana, sta comunque saldamente in campo, e se non qui ed ora rappresenta comunque un'alternativa possibile.
Anche per il governo del Paese. Per quello futuro, ovviamente. Da quello attuale lacerato e disperato com'è, non c'è da aspettarsi più nulla, se non una rissosa e rovinosa sopravvivenza. E questo, per l'Italia, è davvero un prezzo troppo alto da pagare. Aveva detto bene il presidente della Repubblicano Giorgio Napolitano: solo la maggioranza può uccidere la maggioranza. È quello che sta accadendo in questo avvelenato clima da 25 luglio 1943: un lento, inesorabile suicidio politico.
Non sappiamo ancora quale linea ufficiale abbia scelto e sceglierà il presidente del Consiglio. Al di là della solita "ira" che lascia trapelare attraverso la sua corte, il premier non si è ancora espresso sul piano formale, per dire la sua sulle esternazioni sfuggite al presidente della Camera a L'Aquila. Ma due segnali lasciano pensare che il Cavaliere propenda per un drammatico e traumatico "redde rationem".
Intanto, le parole meditate di Claudio Scajola, che afferma chiaramente che Fini è ormai lontano dallo spirito identitario e dalla constituency politica del Pdl. E poi il titolo del Tg1 di ieri sera che, amplificando quello dei giornali di famiglia usciti ieri mattina ("Fini chiarisca o si dimetta") parla testualmente di "ultimatum" al presidente della Camera.
È vero che due indizi non fanno una prova. Ma è altrettanto vero che questi segnali contano e pesano. Scajola è un ministro di rilievo, oltre che dirigente di spicco dell'ex Forza Italia: non appartiene alla claque dei Cicchitto e dei Capezzone, dei Gasparri e dei Quagliarello, "reagenti" di professione incaricati della dichiarazione quotidiana da infilare nei pastoni televisivi. E il Tg1 di Minzolini, come dimostra precedenti inequivoci (dalle omissioni sulle escort alle suggestioni sull'immunità parlamentare) si può considerare a tutti gli effetti "l'organo ufficiale" del partito del presidente, che non incede nella grottesca agiografia del Tg4 di Emilio Fede, ma interpreta l'ortodossia ideologica e anticipa la linea politica del Pdl di rito arcoriano.
Dunque, il combinato disposto di questi fattori lascia pensare che per Fini sia cominciata, o stia per cominciare una sorta di "purga berlusconiana".
Come si addice al partito-caserma, l'unico che il presidente del Consiglio concepisce e che il presidente della Camera aborrisce. Come è logico per la muta famelica di cani che da giorni, in Transatlantico e sui giornali-cognati, ha lanciato la caccia a Fini sospettandolo di criminale complotto e di altro tradimento, e che ora sente, nelle sue frasi pronunciate a ruota libera in quel famigerato fuori onda, l'eco di una profezia che si autoavvera.
Ma se questo è il disegno, cacciare il "mercante" dal tempio dell'unto del Signore, bisogna dire che l'operazione è insieme avventurosa e pericolosa.
Avventurosa, perché Fini è pur sempre la terza carica dello Stato, e dal modo in cui ha messo in riga il livido Bondi a Ballarò è evidente che l'uomo non rinuncerà mai a far vivere la sua idea alternativa di centrodestra, incontrando su questo un consenso nel Paese e un sostegno nel partito, per quanto, per ora, entrambi minoritari.
Operazione pericolosa, perché il Pdl senza il co-fondatore Fini diventa, sul piano culturale e sociale, il partito di una destra a trazione esclusivamente forza leghista, esasperata ed esagitata, che non ha eguali in Occidente e non ha paragoni nelle famiglie del popolarismo europeo. Un partito estremista e populista, che si chiude nella sua ridotta identitaria, padana e neanche più tanto sudista, e si preclude ogni possibile riapertura di gioco con il centro di Casini, difficilmente spendibile per sostituire Fini nel ruolo di stampella di un Cavaliere sempre più azzoppato.
Berlusconi farà bene a ponderare le sue mosse. La sua destra, rivoluzionaria e plebiscitaria, può anche vincere questa partita interna. Ma i fatti stanno dimostrando che l'altra destra, quella di Fini, istituzionale, laica e repubblicana, sta comunque saldamente in campo, e se non qui ed ora rappresenta comunque un'alternativa possibile.
Anche per il governo del Paese. Per quello futuro, ovviamente. Da quello attuale lacerato e disperato com'è, non c'è da aspettarsi più nulla, se non una rissosa e rovinosa sopravvivenza. E questo, per l'Italia, è davvero un prezzo troppo alto da pagare. Aveva detto bene il presidente della Repubblicano Giorgio Napolitano: solo la maggioranza può uccidere la maggioranza. È quello che sta accadendo in questo avvelenato clima da 25 luglio 1943: un lento, inesorabile suicidio politico.
1 commento:
Siamo sicuramente ad un punto di svolta, come dicono in questo articolo è arrivato il momento di contare le teste, e vedere chi è con Berlusconi e chi no.
Speriamo che come al solito non prevalga l'attaccamento alla poltrona, e che questo governo si renda conto di essere ormai alla frutta...
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